L'Italia
si è fatta anche conoscere dal Resto del Mondo, purtroppo, come il
Paese dei “finti invalidi” , dei “ciechi fasulli” , delle
truffe pensionistiche ed assistenziali , ma una volta tanto, ci
possiamo consolare perchè c'è qualcun altro che è in grado di
imitarci.
Lei
si chiama Yvonne Hopf, viene dalla Germania e non è una donna come
tutte le altre : infatti, in una sola Olimpiade, quella di Atlanta
1996, è riuscita a vincere ben cinque medaglie d'oro, proprio come
il leggendario nuotatore australiano Ian Thorpe.
Quel
trionfo l'ha trasformata come una delle stelle dello sport per
disabili in Germania ; sì, perchè tutti dicevano che lei “non
vede la parete verso la quale nuota”. Il suo più grande sogno fu
quello di gareggiare anche a Sydney 2000, un sogno che non si è mai
realizzato; la sua carriera si interruppe, infatti, due anni più
tardi, nel 1998.
Solo
oggi, a distanza di 14 anni, si può conoscere il motivo del suo
ritiro : durante un controllo di routine, i medici scoprirono che
Yvonne Hopf aveva una capacità visiva superiore al 10%, limite
considerato minimo per poter partecipare alle gare delle discipline
paraolimpiche. In pratica, la Hopf ci vedeva meglio di quanto non si
pensasse ; infatti, la “campionessa” tedesca, quell'anno superò
anche l’esame per il conseguimento della patente di guida.
Quella
della Hopf , comunque, non è un caso isolato, purtroppo : tra coloro
che partecipano alle gare riservate ai disabili, spesso, si
intrufolano alcuni atleti che fingono di avere un handicap durante le
visite di controllo. Una diagnosi precisa sembra problematica
soprattutto per ciò che riguarda i casi di cecità.
Così
alle Paraolimpiadi di Torino una fondista russa, iscrittasi
ufficialmente come non vedente, fu colta in flagrante mentre si
voltava verso il tabellone dei risultati al suo arrivo, e, dopo aver
capito di aver vinto una medaglia, ha alzato le braccia al cielo ed
iniziato a festeggiare.
Un
altro caso riguarda un ciclista belga che aveva dichiarato di avere
un braccio paralizzato e poco dopo fu “beccato” mentre telefonava
servendosi della stessa mano che non avrebbe potuto muovere.
Uno
degli esempi più eclatanti, resta comunque quello dell'olandese
Monique Van der Vorst, vincitrice alle Paraolimpiadi di Pechino del
2008 di due argenti nell’handbike, una disciplina che prevede l'uso
di una bici su tre ruote spinta con le braccia.
Nel
2010 annunciò che, dopo 13 anni in sedia a rotelle, aveva
riacquistato l'uso delle proprie gambe, a seguito di uno scontro.
Poche settimane fa ha ammesso che, in realtà, le sue medaglie erano
stato frutto di una condotta scorretta, in quanto già allora era in
grado di camminare.
Triste
a dirsi, gli atleti si sentono sotto costantemente monitorati.
Alcuni, addirittura, limitano volutamente le loro prestazioni,
proprio per non essere sospettati di non essere “sufficientemente
disabili”; tutto questo per non essere trasferiti in un’altra
categoria dove si troverebbero a gareggiare con atleti con un grado
di handicap inferiore al loro.
Se
il doping rappresenta un pericolo costante per il normale sport
agonistico, di certo è ancora più imbarazzante scoprire che anche
fra gli atleti disabili esistono questi casi di disonestà che
finiscono per penalizzare i portatori di handicap, non solo a livello
di prestigio sportivo (e sarebbe il minimo...) ma soprattutto sul
piano morale, lasciando profonde ferite su chi confida che nello
sport si possa trovare la voglia di vivere.
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