martedì 24 aprile 2012

Scorrettezze nello sport per disabili


L'Italia si è fatta anche conoscere dal Resto del Mondo, purtroppo, come il Paese dei “finti invalidi” , dei “ciechi fasulli” , delle truffe pensionistiche ed assistenziali , ma una volta tanto, ci possiamo consolare perchè c'è qualcun altro che è in grado di imitarci.

Lei si chiama Yvonne Hopf, viene dalla Germania e non è una donna come tutte le altre : infatti, in una sola Olimpiade, quella di Atlanta 1996, è riuscita a vincere ben cinque medaglie d'oro, proprio come il leggendario nuotatore australiano Ian Thorpe.

Quel trionfo l'ha trasformata come una delle stelle dello sport per disabili in Germania ; sì, perchè tutti dicevano che lei “non vede la parete verso la quale nuota”. Il suo più grande sogno fu quello di gareggiare anche a Sydney 2000, un sogno che non si è mai realizzato; la sua carriera si interruppe, infatti, due anni più tardi, nel 1998.


Solo oggi, a distanza di 14 anni, si può conoscere il motivo del suo ritiro : durante un controllo di routine, i medici scoprirono che Yvonne Hopf aveva una capacità visiva superiore al 10%, limite considerato minimo per poter partecipare alle gare delle discipline paraolimpiche. In pratica, la Hopf ci vedeva meglio di quanto non si pensasse ; infatti, la “campionessa” tedesca, quell'anno superò anche l’esame per il conseguimento della patente di guida.



Quella della Hopf , comunque, non è un caso isolato, purtroppo : tra coloro che partecipano alle gare riservate ai disabili, spesso, si intrufolano alcuni atleti che fingono di avere un handicap durante le visite di controllo. Una diagnosi precisa sembra problematica soprattutto per ciò che riguarda i casi di cecità.

Così alle Paraolimpiadi di Torino una fondista russa, iscrittasi ufficialmente come non vedente, fu colta in flagrante mentre si voltava verso il tabellone dei risultati al suo arrivo, e, dopo aver capito di aver vinto una medaglia, ha alzato le braccia al cielo ed iniziato a festeggiare.

Un altro caso riguarda un ciclista belga che aveva dichiarato di avere un braccio paralizzato e poco dopo fu “beccato” mentre telefonava servendosi della stessa mano che non avrebbe potuto muovere.

Uno degli esempi più eclatanti, resta comunque quello dell'olandese Monique Van der Vorst, vincitrice alle Paraolimpiadi di Pechino del 2008 di due argenti nell’handbike, una disciplina che prevede l'uso di una bici su tre ruote spinta con le braccia.

Nel 2010 annunciò che, dopo 13 anni in sedia a rotelle, aveva riacquistato l'uso delle proprie gambe, a seguito di uno scontro. Poche settimane fa ha ammesso che, in realtà, le sue medaglie erano stato frutto di una condotta scorretta, in quanto già allora era in grado di camminare.

Triste a dirsi, gli atleti si sentono sotto costantemente monitorati. Alcuni, addirittura, limitano volutamente le loro prestazioni, proprio per non essere sospettati di non essere “sufficientemente disabili”; tutto questo per non essere trasferiti in un’altra categoria dove si troverebbero a gareggiare con atleti con un grado di handicap inferiore al loro.

Se il doping rappresenta un pericolo costante per il normale sport agonistico, di certo è ancora più imbarazzante scoprire che anche fra gli atleti disabili esistono questi casi di disonestà che finiscono per penalizzare i portatori di handicap, non solo a livello di prestigio sportivo (e sarebbe il minimo...) ma soprattutto sul piano morale, lasciando profonde ferite su chi confida che nello sport si possa trovare la voglia di vivere. 

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